La Via Fabaria parte seconda. Sulle orme della civiltà Iblea
E’ rischioso iniziare a scoprire la Sicilia a piedi, perché non si riesce a smettere. Quando, a ottobre dell’anno scorso, ho concluso le prime 7 tappe della Via Fabaria stavo già pensando a quando ricominciare. E a fine ottobre di quest’anno ho ripreso a camminare da dove avevo interrotto.
La Fabaria fa parte delle quattro antiche vie che i Normanni percorrevano sia per i commerci che per i pellegrinaggi verso i luoghi cristiani, ed è stata inaugurata nel 2023 grazie al lavoro congiunto dei membri della rete delle Vie Francigene di Sicilia. Il percorso principale, 314 chilometri in 13 tappe, conduce da Agrigento a Randazzo passando per Catania. Conclusa la settima tappa, che arriva a Grammichele, la Via prosegue in direzione Etna ma si può anche scegliere di deviare per la Iblea, che si stacca verso Ragusa e poi prosegue verso est, per concludersi a Noto.
La scelta è tutt’altro che facile, ma non avendo mai visto la Sicilia sudorientale la bussola, alla fine, punta in quella direzione, anche se, sotto sotto, l’idea di tornare ancora per arrivare fino a Randazzo già si fa strada.
Da Grammichele a Noto si cammina per 142 chilometri, divisi in 7 tappe che scorrono attraverso paesaggi mutevoli, sempre caratterizzati dai muretti chiari a secco. Ottobre e novembre sono mesi ideali per viaggiare in questa splendida isola, perché regalano tanti vantaggi dell’estate senza far soffrire il caldo. Una deviazione con sosta di un paio di giorni a Marina di Ragusa o un soggiorno finale sulla costa vicina a Noto sono ottime occasioni per nuotare in acque azzurre come se fosse inizio settembre. Ma tutti i mesi, tranne luglio e agosto, sono adatti per conoscere a piedi questa meraviglia italiana. Partiamo in due, senza prenotazioni, ogni sera decidiamo cosa fare e dove alloggiare il giorno dopo.
Indice:
Giorno 1 – Da Grammichele a Vizzini
Camminare in Sicilia vuol dire avere davvero tutto: arte, storia, natura, borghi tranquilli, gastronomia eccezionale, ambiente marino, campagna, canyon, aree archeologiche. Già il luogo da cui riprende il nostro cammino, Grammichele, è tutto da scoprire, una chicca urbanistica concepita da un governante colto e illuminato che sognava una città antisismica e sempre aperta a chi arriva.
Ma la destinazione di questa prima tappa non è da meno: Vizzini, il paese dove è nato Giovanni Verga. Ci arriviamo in 17 chilometri che iniziano con campi arati e greggi, nel silenzio ci arrivano le imprecazioni che alcuni pastori rivolgono alle pecore, a centinaia di metri da noi. Poi il paesaggio cambia, passiamo per colline coltivate, boschetti di pini marittimi, una parete di pomice bianca, una scalinata naturale in pietra. La segnaletica è intermittente, a lungo non c’è nulla poi, nello stesso punto, i simboli della Fabaria convivono con altri.
Prima di Vizzini c’è Licodia Eubea, ne attraversiamo una parte periferica che ci sorprende con bellissimi murales dedicati a Battisti e De Andrè. Restano 2 chilometri, la salita finale stronca le gambe ma riprendiamo fiato quando, a metà, ci ferma Carmelo, che vede i nostri zaini e scende dalla macchina per parlare con noi. Anche lui è un appassionato di sentieri ma non conosce quelli di dove è nato, perché si è trasferito in Trentino.

Ci sistemiamo in un b&b dal sapore storico e andiamo in esplorazione. La bellezza del centro ci sorprende, l’atmosfera riporta indietro nel tempo, non è difficile capire da dove siano arrivate a Verga alcune ispirazioni. Non possiamo che far apporre i timbri sulle credenziali nel Museo a lui dedicato.
Giorno 2 – Da Vizzini a Monterosso Almo
Ripartiamo di buon mattino perché anche se i chilometri sono poco più di 15 vogliamo avere il tempo di gustare tutto. La destinazione di questa seconda tappa è Monterosso Almo, ma vale la pena di fare una deviazione per andare sulle sponde del lago Dirillo, che si trova all’interno di una riserva naturalistica sorprendentemente ricca di vegetazione, uccelli e acqua. Il lago, dopo un’estate particolarmente calda e povera di pioggia, è parzialmente in secca ma mangiare un panino sulla riva è davvero una goduria.
Ricominciamo a camminare e man mano il percorso diventa ancora più verde: pini marittimi, eucalipti, olivi, poi querce, lecci, alberi da frutta. Muri di pietre chiare attestano un gran lavoro per abitare e coltivare questo vallone percorso dal fiume ma molto soggetto a frane per via del terreno. Alla fine, appare Monterosso, ovviamente in alto, e ovviamente comincia a tuonare minacciosamente. In compenso il sentiero è molto bello, lastricato, e sale in buona pendenza, portandoci fino a 600 metri. Nel paese, a parte quelli della piazza principale nessun negozio, nemmeno un bar. Ma c’è l’insegna, divertentissima, di un Circolo di conversazione del Regno di Napoli.
Giorno 3 – Da Monterosso Almo a Chiaromonte Gulfi
Anche questa tappa è piuttosto breve, 15 chilometri, e ne approfittiamo per partire pigramente alle 10. La segnaletica qui è costante ed è quella del Cammino Ibleo, sentiero Cai 803, ripristinato da esperti locali. Scendiamo tra le alture, olivi, lecci, una famiglia di capre.
Ogni tanto qualche casa in pietra o cemento, magari modesta ma curata, con veranda e sedie, come a dire che non è solo una struttura di servizio ma un proprio angolo per godersi il luogo. Ancora coltivazioni, più piccole, muri in pietra chiara. A un certo punto la traccia outdoor ci vorrebbe da una parte e i segni dall’altra. Decidiamo di seguirli, ci piace il vecchio sistema, e seguiamo uno sterrato piacevolissimo che si snoda tra gli alberi. A un certo punto vediamo l’ultima cosa che avremmo pensato di vedere su un sentiero: un tizio in camicia e cravatta. Scopriamo poi che è l’autista di un pullman parcheggiato in uno spazio vicino. Più in là incrociamo un ciclista, sicuramente del posto, si sta facendo la sgambata ma è il primo compagno di sentiero in tre giorni.
Ci fermiamo a pranzare sul prato, con due pesche e con un po’ di mandorle colte dagli alberi e spaccate con una pietra. Continuiamo tra campi collinari e vegetazione sempre più verde, finché Chiaromonte non ci compare in controluce. Ci arriviamo con la solita salita finale, dal paese la vista si apre su tutta la piana e cerchiamo di ripercorrere con lo sguardo il cammino di questi giorni. All’orizzonte, si vede anche il mare brillare al sole. In attesa della cena, facciamo merenda con un gelato buonissimo. Andiamo in chiesa a farci timbrare le credenziali e a fare due chiacchiere interessanti con Don Graziano, un appassionato che ogni anno va a fare qualche tappa del Cammino di Santiago.
Giorno 4 – Da Chiaromonte Gulfi a Ragusa
Oggi siamo particolarmente eccitati perché la meta è Ragusa. Abbiamo scelto questo itinerario anche per vederla e ne vale la pena ma anche il percorso per arrivarci merita.
Ci vuole un po’ prima di uscire dal paese. L’aria è freddina, un gilet ci sta tutto. Saliamo fino al cimitero, da lì 600 metri di provinciale e poi, finalmente, lo sterrato. Ci aspettano 23 chilometri, che iniziano in un bel bosco e poi si aprono su pianure coltivate, divise in grandi rettangoli marroni e di diverse tonalità di verde, il mare sullo sfondo. Ci fermiamo a goderci il panorama, mancano 18 chilometri, abbiamo tempo.
Invece ne mancavano di più, perché la traccia ci ha portati in un campo arato, impraticabile. La sterrata che avremmo dovuto percorrere era davanti a noi, ben definita ma irraggiungibile. Per riprenderla abbiamo dovuto fare un giro di almeno 3 chilometri. Così sono le 18, e non le 16,30, quando arriviamo a Ragusa Ibla dopo 27 chilometri e a 8,30 ore dalla partenza. Ma Ragusa ci appare ben prima, quando mancano 9 km, e si offre al meglio nella luce radente e i colori del tramonto. Il sentiero ci fa scendere per più di 200 metri e risalire di 100, immergendoci in un canyon che, come via di avvicinamento a una città, è la più bella che abbia mai visto. Forse solo Matera regge il confronto. Alloggiamo in un b&b che affaccia sulla parte vecchia, chiamata, appunto, Ibla dall’antica popolazione sicula che abitava questi luoghi. Vederla illuminata fa dimenticare la stanchezza.
Facciamo allora quello che si dovrebbe, a nostro parere, fare in ogni Cammino, ossia ci concediamo una sosta perché il posto merita più tempo. Andiamo a Scicli, dove non solo la ricotta viene messa nel cannolo al momento ma il singolo cannolo viene fritto quando lo ordini. Ci godiamo anche due giorni di mare a Marina di Ragusa e grazie a Raffaella, guida Aigae, scopriamo luoghi imprevisti come la Riserva della Foce del fiume Irminio. Tutta la zona è piacevolissima nonostante l’imperversare senza tregua di riferimenti alla serie televisiva di Montalbano.
Giorno 5 (o 8) – da Ragusa a Modica
Traversare Ragusa Ibla con lo zaino in spalla, nonostante la bellezza del luogo, è un’esperienza che richiede un discreto allenamento, soprattutto per le ginocchia, che si trovano a fare numerosi e notevoli gradini. La tappa inizia lasciando la città alle spalle ma ogni tanto, durante il percorso, Ragusa rispunta da un’angolazione diversa. La prima parte, in pineta, è bellissima, con i muri a secco bianchi che creano grandi gradinate. Poi il paesaggio diventa rurale, passiamo per un paio di casali bellissimi e abbandonati. Alcuni campi sono coltivati, altri no. Sullo sfondo la città appare e scompare, a seconda delle curve. Solo a pochi chilometri dall’arrivo diventerà impossibile vederla, perché ci si inoltra in un’altra valle.
L’ingresso a Modica non emoziona perché entriamo da una zona moderna ma quando si arriva nel centro è un’altra musica. Il b&b è ricavato in un’antica dimora, ha il pavimento con tradizionali piastrelle in ceramica multicolore e un balcone affacciato sulla città vecchia. Andiamo in giro curiosando tra vetrine turistiche e proposte culturali: decine di negozi di cioccolato, mostra di Bansky, chiese barocche. A cena il maccu di fave è davvero da primo premio.
Giorno 6 Da Modica a Ispica
Questa tappa porta da Modica alla Cava di Ispica percorrendo 7-8 chilometri di strada asfaltata, poi fa immergere in un percorso completamente naturalistico fino al paese. Alcune guide locali ci consigliano vivamente di saltare la parte asfaltata, perché il percorso nella Cava richiede tempo, attenzione e merita di essere gustato con calma. Ma noi decidiamo di fare tutto a piedi e usciamo da Modica per una salita davvero ripida. Per fortuna abbiamo fatto il pieno di energia con le ottime marmellate fatte in casa del b&b.
Il percorso non presenta né bellezze particolari né particolari fattori di disagio, farlo o non farlo dipende dalla propria concezione di cammino, per noi vuol dire anche vedere un posto in tutta la sua realtà. Siamo contenti però, dopo tanto asfalto, di arrivare finalmente a un sentiero sterrato. Dopo un’ottima spremuta di melograno ci immergiamo nella Cava, il sentiero è prevalentemente pianeggiante ma bisogna fare costante attenzione alle pietre scivolose e alla vegetazione. Affianco a noi si alzano verticali le pareti di pietra dove, millenni fa, gli uomini abitavano e seppellivano i defunti. Per gentile concessione dei proprietari di un’Azienda biologica (non tutti, qui, concedono il passaggio) attraversiamo un campo con covoni di sesamo. Non ne avevamo mai visti.
In questi 16 chilometri ci sono due rifugi, entrambi in pietra, belli da vedere, armonizzati con l’ambiente. Ci fermiamo allo Scirocco, il rifugio più a Sud d’Italia, affacciato sulla Cava. Abbiamo appena scartato il panino che arriva Nanni, signore dello Scirocco, guida Aigae e tracciatore del Cammino Ibleo originale. Il rifugio è spartano e ricco di fascino, sarebbe da fermarsi per la notte ma ci sono problemi di acqua. Nanni è uno che sa tutto della sua terra, parleremmo con lui tutto il giorno ma le ore di luce sono poche, soprattutto in una gola.
Andiamo di buon passo ma il percorso si perde più volte, il telefono è scarico e non possiamo più seguire la traccia. La prudenza consiglia di tornare indietro perché non manca molto al buio, poi troviamo una strada che ci porta fuori dalla gola e ci inventiamo un altro percorso, attraversando strade di campagna asfaltate ma tranquille. Ci toccano però, alla fine, 6 interminabili chilometri di statale 115 dove a nessun guidatore, vedendo due tipi con lo zaino camminare a bordo strada, viene in mente di rallentare. Ispica ci accoglie alle 18, a buio appena iniziato e 24 chilometri percorsi.
Giorno 7 Dal Parco Archeologico a Ispica
Ci svegliamo con la stessa idea. Ovvero: rifare il percorso di ieri. Anche perché non visitare l’area archeologica sarebbe un peccato mortale. Chiediamo al proprietario del b&b di fermarci una notte in più e di accompagnarci in auto all’ingresso del Parco. Il sito, nonostante alcune parti non siano accessibili per motivi di sicurezza, stupisce per quanto è esteso e articolato. Il vero gioiello, però, è la chiesa rupestre di San Nicolò, con affreschi bizantini. Affianco la chiesa, da sei mesi hanno aperto un centro sociale. Sulla parete, un murales riproduce Giovanni Falcone che accoglie, sorridendo, chi arriva.
Ripercorriamo il sentiero e ci prendiamo il lusso di fare un po’ di manutenzione. Non siamo attrezzati ma per quanto possiamo strappiamo il finocchio selvatico, che cresce in modo invasivo, e i rovi. Più andiamo avanti più sperimentiamo il forte dominio della natura, con melograni, aranci, limoni, mandarini che crescono ovunque. Alla fine del percorso un’altra chiesa rupestre, Santa Maria della Cava. Per vederla dobbiamo chiedere le chiavi a Francesco, che sembra passare per caso proprio quando arriviamo e per un’offerta libera ci porta a vedere anche la vecchia conceria. Chiacchierando volentieri, come chi ha poche occasioni di scambiare due parole, si lascia andare a un arrabbiato discorso contro il Ponte sullo Stretto.
A Ispica stavolta siamo arrivati come volevamo, e per questo facciamo finalmente mettere i timbri sulle credenziali, anche se per riuscirci dobbiamo girare ben tre chiese.
Il cammino si conclude qui: decidiamo di raggiungere Noto in autobus. Abbiamo constatato che le osservazioni delle guide locali – che ci hanno sconsigliato sia il tratto asfaltato da Modica al Parco sia quello della tappa finale – hanno il loro perché e siamo appagati così.
Visitiamo Noto apprezzando sia le chiese barocche sia le opere dell’Infiorata del maggio scorso, che ancora colorano le lunghe scalinate rappresentando la pace. Forse, nel terzo viaggio a piedi in Sicilia ci toglieremo la curiosità di capire se quest’ultima tappa s’ha da fare ma per adesso quello che abbiamo percorso, visto, conosciuto ci lascia soddisfatti e riconoscenti.
Vivo a Roma e in Trentino. Giornalista professionista, appassionata di outdoor, scrivo prevalentemente sulle tematiche legate alla montagna, al trekking e ai cammini. Mi piace condividere le meraviglie che incontro, e per questo collaboro all’organizzazione di trekking in posti poco conosciuti, dal Molise all’Australia.
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