Patagonia: una storia di innovazioni
Con questo articolo vogliamo iniziare a parlarvi delle aziende produttrici dell’attrezzatura di cui ci occupiamo in questo blog. Vogliamo portarvi a conoscere chi sta dietro ad un logo: farvi scoprire come lavorano, quali mission perseguono e quali innovazioni introducono sul mercato saranno i temi principali di cui parleremo. Abbiamo scelto di iniziare con “Patagonia”.
Questo perché ha una storia caratterizzata da innovazione e da un’ottica ambientalista che abbiamo apprezzato moltissimo.
Indice:
La storia di Patagonia
Non vogliamo dilungarci troppo sulla storia della nascita e dello sviluppo del brand. Vi accenniamo quello che basta per farvi capire il carattere che li contraddistingue.
Un inizio da chiodi
Yvon Chouinard fondò Patagonia così come la conosciamo oggi nel 1972, ma vi arrivò solo dopo un percorso imprenditoriale illuminante. Da giovane appassionato dell’arrampicata (o forse meglio dire pioniere) decise di creare dei chiodi da arrampicata appunto, che potessero essere usati più volte. All’epoca infatti i chiodi da arrampicata, una volta fissati nella roccia, non potevano più essere rimossi e quindi riutilizzati. Chouinard partendo da una vecchia lamina di una mietitrice, e con degli strumenti da fabbro iniziò a produrre per sé questi chiodi. Ben presto tutti vennero a conoscenza dell’idea, ed ottenne così le prime vendite.
Ci si rese però conto che questi chiodi stavano danneggiando la roccia a causa della continua attività di inserimento ed estrazione. Nonostante fossero la maggior fonte di entrate della neonata Chouinard Equipment, si decise di rimuoverli dal catalogo e di sostituirli con dei dadi in alluminio che non causavano questi danni. Questa fu la prima di una lunga serie di iniziative ambientaliste da parte di Chouinard, allora sotto il nome di Chouinard Equipment, oggi come Patagonia.
Cambio di stile
Un ulteriore rivoluzione venne apportata da un punto di vista stilistico nel 1970: il colore. Ad oggi sembra scontato, ma all’epoca si usavano vestiti da lavoro, o di seconda mano, che non spiccavano certamente per i colori vivaci. Chouinard si trovava in Scozia ad arrampicare, e decise di provare ad usare le maglie da rugby dei locali per sfruttare le imbottiture e il colletto come protezione dallo sfregamento delle corde. L’idea funzionò, le maglie vennero usate anche negli States, e il successo fu immediato: tutti volevano le maglie colorate.
L’intuizione ebbe un forte impatto sul mercato e in tanti iniziarono ad importare maglie per imitare Chouinard. Nacque l’esigenza di trovare un nome che potesse essere riconosciuto per l’abbigliamento da montagna, e il brand Patagonia vide così la luce.
Da allora la crescita delle vendite crebbe di anno in anno sempre di più. Questo, anche grazie alla continua ricerca e innovazione dei materiali usati per l’abbigliamento che divennero sempre più efficienti e accattivanti, arrivando ad attrarre anche clienti che non centravano nulla col mondo dell’outdoor. Inoltre l’etica aziendale ha sempre cercato di stimolare condivisione e creatività. Ma soprattutto la ricerca del benessere di chi ci lavora attraverso servizi e iniziative.
Se siete curiosi di saperne di più vi consigliamo di andare alla pagina ufficiale del loro sito cliccando su questo link.
L’etica ambientalista
L’aspetto secondo noi più interessante che contraddistingue Patagonia è senza dubbio l’impegno verso la salvaguardia dell’ambiente.
Sin dalla sua nascita Patagonia ha deciso di impegnare una parte delle proprie risorse finanziare verso cause ambientaliste. Dato che chi lavorava in Patagonia era spesso impegnato in spedizioni in mezzo alla natura. Si rendeva conto in prima persona delle problematiche legate a flora e fauna, suolo e aria, dovute all’ inquinamento e alle politiche scellerate di espansione industriale.
Potere ai piccoli
Patagonia si rese però conto che era più importante sostenere le iniziative delle piccole comunità che si attivavano per ripristinare la natura in cui vivevano, piuttosto che devolvere fondi alle grandi ONG, che a causa di vincoli burocratici disperdono molti fondi solo per sostenere le proprie spese. La convinzione è che i risultati maggiori derivino proprio da chi si dedica a salvaguardare i luoghi in cui vive, e di certo non si tratta di una convinzione sbagliata.
Questa convinzione era nata negli anni Settanta, quando Patagonia aiutò Mark Capelli, un giovane studente di biologia, a combattere gli effetti della costruzione di due dighe sul Ventura River. Mark aveva condotto uno studio sull’impatto negativo che le dighe stavano avendo sulla fauna del fiume, e grazie all’intraprendenza del ragazzo e della comunità che abitava sulle sponde del fiume, la situazione migliorò e venne ripristinata la normalità.
Da allora Patagonia ha deciso di devolvere a questo tipo di cause il 10% dei profitti annui, e in seguito ha aumentato la quota fino all’1% delle vendite o al 10% del profitto lordo, a seconda di quale sia la maggiore fra le due. E questo impegno lo ha mantenuto a prescindere dall’andamento dell’azienda.
Cotone ecosostenibile
Un passo molto importante è stato il passaggio al cotone organico. Patagonia si era infatti resa conto che dal dopoguerra la produzione di cotone a livello industriale aveva danneggiato enormemente l’ambiente. Con l’ennesima scelta coraggiosa, ma rispettosa del pianeta, Patagonia iniziò un processo di riconversione molto importante che coinvolgeva ovviamente i propri capi di abbigliamento, ma soprattutto tutta la filiera produttiva dall’agricoltore ai filatori. Il processo si completò in circa due anni e da allora i capi in cotone presenti in catalogo sono realizzati appunto in cotone organico.
L’impegno costante verso queste iniziative ha portato Patagonia a realizzare capi d’abbigliamento potenzialmente riciclabili e rispettosi dell’ambiente. Senza però mai rinunciare alla ricerca dell’efficienza del capo stesso.
Le iniziative
Come vi abbiamo detto prima, Patagonia si muove in prima linea per aiutare le iniziative a tutela dell’ambiente. Ve ne raccontiamo qualcuna.
100% for the planet
L’intero ricavato del Black Friday 2016 è stato devoluto a gruppi di attivisti impegnati a proteggere il pianeta.
1% for the planet
Come abbiamo accennato prima, Patagonia si impegna dal 1985 a devolvere l’1% delle proprie vendite per sostenere cause ambientaliste in tutto il mondo. Da allora sono stati devoluti in questo modo più di 89 milioni di dollari, e dal 2002 esiste un’organizzazione non-profit fondata da Chouinard e da Craig Mathews. Questa organizzazione si occupa proprio di incoraggiare altre aziende a seguire l’esempio di Patagonia.
Conferenza Tools for Grassroots Activists
Queste conferenze organizzate da Patagonia hanno come scopo quello di condividere con attivisti e gruppi locali le conoscenze e le competenze per poter fronteggiare i problemi dell’ambiente. Vengono organizzate ogni 18 mesi, e lo scopo è quello di arrivare a far conoscere meglio come lavora l’azienda e cosa si può fare insieme per proteggere il pianeta.
A questo link troverete tutte le informazioni utili sull’operato di Patagonia riguardo le iniziative ambientaliste, e le linee guida che vengono usate per aiutare i gruppi locali con iniziative a sostegno dell’ambiente.
Concludendo…
Abbiamo deciso di parlarvi prettamente delle attività ambientaliste piuttosto che di qualche aspetto tecnico di zaini o abbigliamento. Questo perché pensiamo che sia interessante sapere in quale direzione si muove un’azienda, in special modo se si tratta di un’azienda che lavora nell’ambito dell’outdoor.
Nel 2020 è diventato quasi indispensabile occuparsi della natura che ci circonda, e se state leggendo questo articolo vuol dire che la natura vi piace parecchio!
Se volete saperne di più sul mondo Patagonia o se volete vedere i loro prodotti andate su eu.patagonia.com.
Se ti interessa sapere di più su questi grandissimi marchi del mondo Outdoor, continua con la storia tutta italiana di Ferrino.